Milano, Unione Europea.
La letteratura, come tutta l'arte, è la confessione che la vita
non basta. (Fernando Pessoa)
MILANCONIA - recensioni
-- Intervista su OMNIMILANOLIBRI, 04/08/2014


-- Nostra intervista a GIUSEPPE NORBIG, 12/04/2013
Narrare la città e quelli che ci stanno


Quando hai iniziato a scrivere con intenti letterari?
Difficile parlare di intento. Durante le ferie estive tra le medie e le superiori avevo letto Hemingway, i “39 racconti”, e ho scritto alcuni brevi racconti copiandone spudoratamente stile e struttura. Negli anni del ginnasio sempre racconti, tra il surreale e l’iperrealista. Alla fine del liceo il primo romanzo: era naturalmente pieno di ingenuità e rabbia adolescenziale, ma è stato il primo lavoro che avesse una minima complessità e originalità.

Perché scrivi? Quali temi ti attirano?
Scrivo perché credo nel potere della narrazione, del racconto, che rimane uno strumento estremamente attuale di conoscenza di quello che ci circonda. Mi interessa la contemporaneità e il modo in cui le persone decidono di starne dentro o fuori.

Come è nato “Milanconia”?
“Milanconia” nasce su un desiderio, quello di raccontare una città che per me fa fatica, oggi, a essere raccontata e a raccontarsi. Nasce intorno a dei nuclei, a delle immagini che prevalentemente sono quelli che danno nome ai capitoli (paura, traiettorie, esplosioni, etc.). Nasce perché una donna, un uomo, qualcuno incontrato per strada, anche solo uno sguardo o un gesto mi hanno suscitato il desiderio di provare a scriverne la storia. Nasce infine, naturalmente, dalla mia storia personale.

Da quando lo hai scritto, Milano è cambiata?
Non saprei. I processi di cambiamento di una città credo siano in genere molto lenti e che lo spirito di una città sia qualcosa di estremamente duraturo. E, d’altra parte, Milano dà l’impressione di essere perennemente in bilico, tra lo splendore e la rovina, come se in un attimo potesse sorgere o sprofondare.

Dormi tranquillo quando scrivi un libro?
Quando scrivo sì. Quando penso a quello che scriverò la notte insonne è quasi automatica.

Cosa e chi leggi: i tuoi punti di riferimento per tematiche e stile…
Leggo di tutto, a volte scegliendo in modo abbastanza casuale e istintivo, a volte concentrandomi su un autore e leggendone l’opera completa, ma faccio fatica a collegare quello che scrivo con quello che leggio. Sicuramente sono stato influenzato da "Pastorale americana", "La coscienza di Zeno", "Cuori in Atlantide", "I miei luoghi oscuri", "Doktor Faustus", "Le avventure di Huckleberry Finn", "Q", "Le operette morali", "L’arcobaleno della gravità", "Le cosmicomiche", "Il signor Mani", "Tristram Shandy", "Milano Calibro Nove", etc. ma ritengo importantissimi anche libri non di narrativa come "Modernità liquida", "Armi, acciaio e malattie" o "Cultura convergente".
Tra tutti, se dovessi scegliere un libro che vorrei aver scritto, allora direi "Infinite jest" di David Foster Wallace.


A cosa serve oggi la narrativa, rispetto ad altre forme del racconto sociale?
Credo che la narrativa sia lì a giocarsela con gli altri, con la sua specificità, che mi sembra essere quella di essere una forma tendenzialmente povera, lenta, semplice, ma che da queste caratteristiche trae la sua irraggiungibile potenza evocativa. Detto questo, oggi chi scrive (come chi fa i film, chi dipinge, etc.) è immerso in un mondo di narrazioni e non credo sia possibile né giusto cercare di difendersene, soprattutto da quelle più mainstream.